Siamo abituati ai cambiamenti delle regole che stabiliscono limitazioni e impedimenti nel lavoro delle nostre imprese. Tornano i colori e appare anche quello bianco, mentre si è aperta la crisi di Governo. Si riaprono finalmente i musei ma solo nei giorni feriali e le librerie. Si vieta ai bar l’asporto dopo le ore 18.00 allo scopo d’impedire assembramenti e movida. Siamo obbligati a rispettare questa ulteriore restrizione che assesta un nuovo colpo alle imprese, in assenza d’indennizzi adeguati alle perdite subite. Ristoranti e bar stanno pagando un prezzo enorme e insostenibile. La drammaticità della situazione non ci impedisce di ribadire che rappresentiamo imprenditori responsabili, i primi interessati alla riduzione dei contagi per tutelare salute e lavoro. Non rinunciamo, però, ad esprimere la nostra opinione. E’ utile fare il punto della situazione. E’ passato un anno dall’inizio della “peste” del XXI secolo. Verrà il tempo che conteremo il numero delle imprese che non saranno sopravvissute. Il turismo subirà 2 forse 3 anni di crisi. Si parla di un ritorno alla normalità, con il turismo internazionale, nel 2023 se non nel 2024. Le attività di ristorazione e tutto il commercio non alimentare, sostenuto dal mercato interno e dai relativi consumi, saranno sottoposti anche nel 2021 a perdite consistenti di fatturato. Molto cambierà nel turismo e nel commercio di vicinato. Tutti dovremo cambiare. Un grande lavoro ci attende per utilizzare bene i fondi europei in investimenti e per le riforme strutturali ai fini della crescita di una economia sostenibile e dell’occupazione. La non facile gestione dei prossimi mesi della pandemia si caratterizza su due aspetti: le regole e la vaccinazione di massa che ha bisogno di un anno per ottenere, speriamo, la sicurezza dal virus. Sino a quel tempo come gestiamo l’emergenza? La Regione Toscana ha dato un segnale importante per la vita dei giovani ed il loro futuro con la riapertura della scuola in presenza, grazie ad una specifica organizzazione del trasporto, dell’ingresso e dell’uscita degli studenti. Allora è possibile non punire la scuola. Si può lavorare anche per penalizzare il meno possibile le imprese che lavorano al pubblico, a condizione che si approfondiscano i problemi da risolvere e si definiscano finalità e strumenti. Ecco il principio che deve guidare. E’ un grave errore contrapporre attività di lavoro con la presenza dei clienti alla scuola, garantiti e impoveriti nel reddito perché non lavorano. Tutto passa dall’autorevolezza, dalla visione e dalla comunicazione tempestiva e trasparente dello Stato nel suo complesso, dalla capacità di garantire controlli preventivi e sanzionatori. Si impedisce l’asporto ai bar per scongiurare assembramenti, denunciati dai proprietari delle attività, nelle strade e nelle piazze. E’ questa l’unica soluzione scaricando le conseguenze sulle imprese? In tal modo si determina la sostanziale impunibilità degli irresponsabili e si penalizza il lavoro e, soprattutto, non si unisce il Paese sui temi della tutela della salute e per combattere il “virus”, dell’investimento sui giovani, del ruolo della famiglia per l’educazione ed il rispetto, del valore delle imprese e dell’impegno comune per uscire dalla crisi. Noi che siamo a contatto quotidiano con le imprese abbiamo capito che senza consapevolezza dell’importanza di far vivere ogni giorno alle persone il lavoro, le relazioni, lo studio non c’è futuro, perché vincono disagio psicologico, frustrazione, esasperazione e rabbia. La nostra critica al governo e alla politica è quella di non avere messo al primo posto delle scelte da compiere la domanda: come si può far lavorare le imprese, anziché chiudere perché si ritiene l’unica soluzione. Chiudere può anche non avere alternative, ma dopo avere esaminato a fondo tutte le altre. Altrimenti è soltanto la più facile.